CARIATIDI sul cuore
Ideazione e regia Lucilla Trapazzo
Costumi e scenografiek Maria Francesca Palli
“Perché a noi donne, che onoriam del paro la virtù oscura o ricinta di gloria, di Gemma il nome è caro come di Beatrice la memoria: ambo errar le vediam col lor Poeta di pianeta in pianeta […]” (Erminia Fuà Fusinato, 1834-1876)
Organizzato dall’Associazione in collaborazione con l’Ass. Culturale Il faro di Patrasso, l’evento è stato ospitato a Leros il 18 maggio 2022 nei locali dalla Taverna Paradisos di Vromolito.
La performance realizzata dal duo teatrale Hypnagogia (che prende il nome dallo stato di transizione tra veglia e sonno), è ispirata al 700° anniversario di Dante. Ed alle sue due donne: Bice Portinari (Beatrice, la musa dell’amor cortese e del “Dolce stil novo”, coniugata Bardi e morta a 24 anni) e Gemma Donati (la moglie reale, madre dei sui quattro figli, che non compare in alcuna opera di Dante).
Bice, cantata, idealizzata come icona del femminino angelico, ma al contempo privata del suo essere donna di carne e di sangue; un’ombra, un simbolo più che una donna. E Gemma, “ragno” che tesse all’ombra di Dante senza comparire mai, perfino osteggiata sul piano umano dalla critica successiva (Boccaccio: Trattatello in Laude di Dante).
Sullo sfondo sonoro dei versi di Dante recitati da voci femminili in lingue diverse, dall’arabo al giapponese, incontriamo le due donne in un momento di rivelazione del loro spazio intimo, silenzioso, inesplorato, oltre la maschera pubblica del “personaggio”. Ognuna di esse, profondamente umana, combatte la propria battaglia solitaria e silenziosa alla ricerca della propria identità. E scelgono il silenzio dei gesti lasciando la parola ai versi del Poeta.
Versi che le avvolgono come un bozzolo, le imbrigliano come una ragnatela, le creano e le disfano, le elevano e le negano. Le performers diventano veicoli semiotici creanti un’altra realtà, un ponte tra il mondano e il privato, alla scoperta di un mondo celato, quello dell’identità e della creazione artistica al femminile, coi suoi rituali, i suoi miti e il suo linguaggio (il ricamo, il cucito, la fiaba, la ninna-nanna). È proprio nel momento intimo di vulnerabilità che i due personaggi si spogliano della maschera e si palesano donne.
Gemma è avvolta da una rete di fili come in una ragnatela, oscillando tra il tentativo di liberarsi dalle maglie e il continuo tessere la tela. Bice, legata al ruolo perpetuo di Musa, è rinchiusa in un bozzolo, culla in cui dondolarsi e prigione asfissiante al contempo. Le donne sono congiunte dagli stessi fili, che corrono dall’una all’altra. In moto costante, interconnesso e speculare, creano e disfano il bozzolo e la ragnatela.
[trailer “artistico”]
Dall’intervista, condotta dal curatore dell’evento, che ha introdotto la performance teatrale.
Come presentare un poeta?
Un cv, dove è nato, quando è nato (non si chiede l’età ad una signora! imponeva una cavalleria ormai desueta; ma non si chiede lo stesso…)
Lucilla Trapazzo, ideatrice e regista di Cariatidi, ciociara nata all’ombra della famosa Abbazia di Montecassino e vissuta in giro per l’europa (Belgio, Germania) e l’America, vive prevalentemente in Svizzera, quando non è in giro a presentare poesie e performances o a ricevere premi (Cina, Libano, Crimea, Sicilia, Russia, Toscana, Liguria, tanto per citare solo il 2021).
Lucilla è poi un artista poliedrico: oltre alla poesia (si autodefinisce poeta) si interessa di teatro dell’improvvisazione con performances e laboratori, ma ho scoperto (lei non lo dichiara) che va anche a spasso tra disegno, pittura, ricamo, scultura, istallazioni, minicortometraggi…
Ma soprattutto (credo, a questo punto non sono più sicuro di nulla) scrive poesie: ha dato alle stampe finora quattro volumi e alcune poesie sono state anche musicate. Ma ha nel cassetto numerose altre raccolte inedite, da una delle quali (Resilienza del seme), ho selezionato due brevi estratti.
Quindi, stasera,
prima di dare la parola al sommo poeta ed alle sue donne impersonate da Lucilla e da Francesca,
pregheremo Lucilla di presentarsi utilizzando qualcuna delle sue opere, il modo migliore, credo, per presentare un poeta.
Specie se, invece di essere semplicemente lette, è addirittura l’autore in persona, in carne e ossa, che le recita, che le interpreta.
(E Lucilla acconsente di buon grado, scegliendo quelle che seguono e iniziando con due a cui tiene particolarmente, che rappresentano due momenti della vita che ritene particolarmente importanti: l’uno, la nascita di un amore; l’altro, la fine di un altro amore…)
Ma è ora passare ad un altro aspetto della sua poliedrica personalità, quello di performer nella “improvvisazione teatrale” di Cariatidi, ricordando come Lucilla avesse già strizzato l’occhio a papà Dante con un’altra performance, poetico-musicale stavolta, con un’altra raccolta inedita di poesie, scrivendo nelle vesti di Francesca da Rimini immaginarie lettere d’amore al cognato Paolo Malatesta (ne trovate un paio nella selezione che segue).
Ossidiana – 2018
[libro di esordio, con poesie dure, taglienti: di ossidiana, appunto]
La luce irrompe obliqua e dondolante
tagliata dalle lame dei cappotti
vuoti
ombre appese contro un campo
azzurro
rivelano che qui è passata vita
e forse si è fermata sul ciglio
della porta
o ancora giace addormentata
sulla soglia della percezione.
Più in alto sul pomello un Borsalino
a tesa larga si rimira
e tronfio s'acciambella riposando
sul suo nome
aspetta ancora il sole e una mano
che l'afferri e lo riempia
di funzione.
Dei piccoli mondi – 2019
[con allusione all’omonima teoria dei 6 gradi di separazione]
Sarà forse la luna che pende
più tonda e splendente stanotte
onde i ricordi si gonfiano
per poi frantumarsi
continui, arcane illusioni portando.
Non ho scritto di te
del tuo inesorabile sguardo
né del pane che abbiamo diviso:
la musica tua
miei i libri che colmano il vuoto
e un abbraccio che salda il respiro
più di mille parole all’uscita di un film.
Disperati all’amore abbiamo giocato.
Un gioco fatale un fiore reciso
un binario uno scambio intagliando
il futuro.
Ruscellante – 2021
con qualcosa di azzurro
[poesie di respiro più ampio]
Verrà di nuovo la luna leopardiana
con voce fiammeggiante a riparar
di bambole i visini. Per te che collezioni
storie, di miele gronda desiderio
in questa notte gialla di Van Gogh.
Un’eco raminga al di là della soglia.
Amara. Di tempo che piega il canneto
che porta la pioggia. Non oltre.
Stanotte con i cubi in grembo dorme
il mastro puppeteer. Stanotte l’emozione
vince ai dadi. Partorito un giorno
entro sogno onnipotente il cigno di cristallo
surge al suono malva dei bulloni
e invoca piume e neurotrasmettitori.
È in fermento corrusco la pelle del mondo
trafitta da memoria di universo. Nel grano
il cri-cri sconfinato rivela quanto indarno
sia cantare alla luna aliena.
Trafitto al limitar del Sein
di soglia inciampa il pensier vago
perduto nel silenzio il Vero
a ricercare. Basta un latrar
di cane nella notte e franto
è poi l’incanto. Nell’attimo
perduto alla coscienza è forse
della luna percezione
il lucore sull’asfalto.
(E gocciola costante il Tempo immemore)
con un vestito di paillettes (e un’idea di graffio)
[versi dalla natura più giocosa nel ritmo, nei temi e nella scelta lessicale (con qualche incursione in toni più critici)]
Gongola poi dondola
e fa una piroetta
si guarda nello specchio
ignara e vuota
nascondendo il nulla
col vestito buono.
È una lieve storia
sul fondale della scena
inconsistente.
Se mono-logando t’incanti in delubrio
libetrico, all’angolo opposto, deposte
le briglie di Xanto, infine scarti
di lato
Atro quel cielo e ima la lingua
di aghi di ferri trancianti
asta in sesta
cum teste et verbis gratiosis
pasteggi, ruttando la rima
languente: è ira di tuono, nube di vetro
e in vano insegui bobine di logos
– ah, nericar di forma sopra il senso
senza crono, agonizzante –
Io resto al mio posto e ti guardo
fare e disfare intrecci giardini di trame
congiure e tele di ragno. Un suono più arguto
di bimbo che scorge la cetra svuotata.
Un fondo di caffè.
Una saponetta nell’acqua del bucato.
Un tubetto di dentifricio spremuto.
Una scatola di pomodori avariati.
Un pacco di mandorle amare.
Due gocce di aceto (in mancanza un limone va bene).
Un fiore di carta.
E una scala a pioli per guardare più in alto.
con lievi varianti
[versi ispirati a storie e miti]
con ritmico respiro
[poesie dedicate ai dodici mesi dell’anno, alla natura e al ciclico declinarsi della vita]
Fremendo con fiori e falene
giugno trabocca. Di gioia
prorompe la spiga e si compie
lucente.
Nel mezzo dell’anno a cavallo
già trema foriero
di fine.
Dimentico un volo d’uccelli
di seta si ormeggia
nel vento.
Francesca – Lettere d’amore immaginarie a Paolo [Inedito]
[performance poetico-musicale]
Trafitti d’azzurro e di nuvole
ballammo sul soffitto.
Frattura di sale la strada.
Piange il Multiverso
in qualche dove la fine
di una stella. E la mia voce
implode
Non peccammo quando ci scoprimmo
essenza e paradosso nello specchio.
Eppure senza colpe condannati siamo
sull’orlo tormentato dell’attesa
Sospesi tra la notte e il sole
Esclusi, non risolti
E sempre siamo fiume in piena
carne densa ancora
Siamo nomi e anelli e atomi di luce